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In cosa consiste la dieta a basso contenuto di FODMAP?

I FODMAP sono carboidrati fermentabili a catena corta molto diffusi soprattutto negli alimenti di origine vegetale quali grano, orzo e segale. Apparentemente hanno la facoltà di scatenare sintomi gastrointestinali simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile che tendono a scomparire adottando un regime alimentare a ridotto contenuto di FODMAP.
I FODMAP, acronimo di “Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides And Polyols”, sono oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili. Al gruppo dei carboidrati a catena corta fermentabili appartengono, tra l’altro, i fruttani presenti nel grano, ritenuti responsabili dell’insorgenza di sintomi gastrointestinali quali diarrea e meteorismo in pazienti che soffrono di patologie funzionali a carico di stomaco e intestino. Essendo resistenti agli enzimi digestivi dell’organismo umano, si ritiene che i fruttani non assimilati producano alterazioni osmotiche nell’intestino tenue, per poi venire fermentati dai batteri intestinali che popolano l’intestino crasso.
 

Una dieta da adottare solo sotto controllo medico

Dal momento che una dieta a basso contenuto di FODMAP limita fortemente  la scelta di alimenti con ripercussioni sulla composizione della flora intestinale, i pazienti vanno sempre seguiti da un nutrizionista in grado di proporre una serie di alimenti alternativi per garantire il giusto apporto di sostanze nutritive preziose come il calcio. È consigliabile seguire la dieta a basso contenuto di FODMAP solo per un limitato periodo di tempo, fino a un massimo di otto settimane. Successivamente si procede a reintrodurre i FODMAP – a seconda della soglia di tolleranza individuale suggerita dall’insorgere di sintomi gastrointestinali. In questo modo non viene a mancare il giusto apporto di sostanze nutritive e si riducono al minio gli effetti sulla flora intestinale batterica.

Alimenti ricchi di FODMAP:

  • Oligosaccaridi: fruttani e galatto-oligosaccaridi contenuti in grano, orzo, segale, cipolla, porro, parte bianca del cipollotto, aglio, scalogno, carciofi, barbabietole, finocchi, piselli, cicoria, pistacchi, anacardi, legumi, lenticchie e ceci
  • Disaccaridi: lattosio contenuto nel latte, budino, gelato e yogurt
  • Monosaccaridi: fruttosio in forma libera (fruttosio in eccesso rispetto al glucosio), contenuti in mele, pere, mango, ciliegie, anguria,  piselli dolci, miele, sciroppo di glucosio-fruttosio (High-Fructose Corn Syrup, HFCS)
  • Polioli: sorbitolo, mannitolo, maltitolo e xilitolo, contenuti in mele, pere, albicocche, ciliegie, pesche, prugne, anguria, funghi, cavolfiori, gomma da masticare/caramelle senza zuccherolla menta/dolciumi

Attuazione della dieta a basso contenuto di FODMAP

L’esclusione dalla dieta di alimenti ricchi di FODMAP è una norma dietetica che è già stata introdotta con successo in alcuni studi. Si consiglia un programma dietetico multifasico:

Una volta che è stato diagnosticato un disturbo funzionale dell’intestino e si è deciso di iniziare una dieta a basso contenuto di FODMAP sotto la guida di uno specialista, seguono tre fasi fondamentali:
  1. Si sospende il consumo degli alimenti contenenti FODMAP per un periodo non inferiore alle otto settimane. Si accerta la presenza di un’eventuale intolleranza al lattosio o di un malassorbimento del fruttosio per mezzo di un H2 breath test. Una dieta meno restrittiva è ammessa qualora i risultati mostrino una buona tolleranza al fruttosio e/o al lattosio tra i FODMAP.
     
  2. Si procede a reinserire alimenti contenenti FODMAP nella dieta – la successione e la quantità degli alimenti vanno stabilite sulla base dei sintomi e di quanto riportato sul diario alimentare del paziente.
     
  3. Si concorda un regime dietetico a lungo termine contenente i FODMAP calibrato sulla soglia di tolleranza individuale. Una volta che la consulenza si è conclusa, il paziente è libero di pianificare i propri pasti in completa autonomia.
Dr. Schär Institute Dieta a basso contenuto di FODMAP Intolleranza al glutine Approccio pratico della deita a basso contenuto di FODMAP

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Studi 3

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Diagnosi di sensibilità al glutine non celiaca (SGNC) in pazienti con sintomi funzionali gastrointestinali: risultati di uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco contro placebo con provocazione con glutine.

La sensibilità al glutine non celiaca (in breve: sensibilità al glutine o SGNC) è una malattia funzionale gastrointestinale contraddistinta da sintomi gastrointestinali ed extra-intestinali che si manifestano dopo l’assunzione di alimenti contenenti glutine. I test ematici e le analisi istologiche attualmente disponibili non consentono di accertare con assoluta sicurezza una SGNC. Il fondamento primario del metodo diagnostico della SGNC, quando sono escluse celiachia e allergia al grano, è la risposta a un’alimentazione priva di glutine. L’analisi della reazione di pazienti potenzialmente SGNC alla carenza di glutine, tuttavia, può essere alterata, oltre che dall’azione di altre sostanze attive nel frumento, come inibitori della amilasi-triptasi (ATIs) e FODMAPs (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols), anche dall’effetto placebo. Una diagnosi corretta è imprescindibile per evitare inutili restrizioni alla dieta, per offrire opzioni efficaci di trattamento e per ridurre l’esigenza di farmaci che mitigano i sintomi in caso di disturbi funzionali gastrointestinali, inclusa la sindrome dell’intestino irritabile.

L’obiettivo di questo studio clinico era individuare in maniera affidabile pazienti con SGNC all’interno di una coorte di pazienti, che registrava un miglioramento dei sintomi gastrointestinali in assenza di glutine, attraverso uno specifico protocollo diagnostico eseguito in doppio cieco con provocazione con glutine contro placebo con crossover. Lo studio clinico è stato condotto in 15 centri ambulatoriali italiani di gastroenterologia. Sono stati inclusi in questo studio clinico 140 pazienti adulti, che consultano regolarmente ambulatori gastroenterologici e soddisfano i criteri ROMA III per disturbi funzionali di stomaco e intestino. Tutti i pazienti assumevano alimenti contenenti glutine, risultavano negativi ai test degli anticorpi di classe IgA delle immunoglobuline anti Tissue-Transglutaminase (IgA-tTGA) e all’allergia al grano IgE mediata e presentavano un tenore totale di IgA normale. In pazienti con forte sospetto clinico di celiachia è stata eseguita inoltre una biopsia duodenale, al fine di escludere i pazienti con celiachia sieronegativa.

La fase 1 dello studio clinico ha esaminato la reazione dei pazienti all’assenza di glutine. Il primo passo è stata la valutazione dei sintomi della malattia e della qualità della vita in relazione alla salute, mediante Scale Analogiche Visive (VAS), scala da 1 a 10, e il questionario sullo stato di salute Short Form 36 (SF36). Al termine di questa valutazione, è stata introdotta un’alimentazione priva di glutine della durata di 3 settimane. I pazienti hanno ricevuto ampia consulenza e supporto da parte di un esperto dell’alimentazione. Alla fine della fase 1, i pazienti hanno compilato nuovamente le scale VAS e il questionario SF36. I pazienti che hanno indicato un miglioramento significativo dello stato di salute (VAS ≥ 3, n = 101) sono stati considerati “responder al glutine” e sono stati inseriti nella seconda fase dello studio clinico.

Questi pazienti responder sono stati esortati a continuare ad alimentarsi rigorosamente senza glutine nella fase 2 (provocazione con glutine in doppio cieco contro placebo con crossover). 98 pazienti sono stati ammessi a questa fase dello studio clinico (3 pazienti hanno rinunciato a proseguire la partecipazione per paura di recidive sintomatiche se sottoposti a provocazione con glutine). I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi randomizzati e per 7 giorni hanno assunto 5,6 g/giorno di glutine (capsule con glutine trattato, pari a 80 g di pasta secca) o placebo (capsule con amido di riso). Prima del crossover si è svolto un periodo di sospensione (wash-out) di 7 giorni. Di conseguenza, la fase 2 dello studio clinico ha avuto una durata complessiva di 21 giorni (durante questo periodo, i pazienti hanno continuato ad alimentarsi senza glutine). Al termine di ogni fase (provocazione con glutine/placebo, fase di sospensione e crossover), vale a dire ogni 7 giorni, i pazienti hanno compilato nuovamente le scale VAS e il questionario SF36. Nel complesso, i pazienti hanno riferito peggioramenti dello stato di salute più marcati sotto provocazione con glutine che sotto placebo (p = 0,05). 28 dei pazienti randomizzati hanno reagito ‘positivamente’ alla provocazione con glutine in doppio cieco contro placebo con crossover (in altre parole, soffrivano di una recidiva sintomatica sotto assunzione di glutine) e 69 pazienti si sono dimostrati negativi alla provocazione con glutine in doppio cieco contro placebo con crossover (vale a dire, nessuna recidiva sintomatica sotto assunzione di glutine). Non è stata constatata nessuna correlazione tra fattori demografici, clinici o biochimici e la reazione alla provocazione con glutine. Tra i pazienti identificati come ‘positivi’, la sequenza in cui erano state assunte le capsule di glutine e di placebo non sembra avere alcun effetto significativo. Da notare che 14 dei 28 pazienti ‘positivi’ sono stati identificati anche come responder al placebo. Come prevedibile, questo risultato evidenzia un effetto placebo significativo.

Nel complesso, il 14% dei 98 “responder al glutine” randomizzati hanno registrato una recidiva sintomatica durante la provocazione con glutine in cieco, controllata con placebo (senza risposta contemporanea al placebo) e, di conseguenza, è stato possibile identificarli come pazienti con SGNC. Questo risultato conferma che l’assunzione di glutine in un sottogruppo di pazienti con disturbi funzionali dell’intestino può provocare sintomi gastrointestinali. Si tratta del primo studio clinico a indagare e valutare l’efficacia del protocollo diagnostico in due fasi “Diagnosis of NCGS: The Salerno Experts’ Criteria”1 nella prassi clinica. L’elevato numero di pazienti che ha reagito all’assenza di glutine (75%), ma non alla provocazione con glutine dopo l’assenza di glutine, è degna di nota. Presumibilmente, questa discrepanza è riconducibile in parte a un possibile effetto placebo. Molti pazienti, tuttavia, potrebbero reagire anche ad altre sostanze aspecifiche nel frumento, per es. ATIs o FODMAPs.


1 Catassi C, Elli L, Bonaz B et al. Diagnosis of Non-coeliac Gluten Sensitivity (NCGS): The Salerno Experts Criteria. Nutrients 2015; 7: 4966-4977.

Elli L, Tomba C, Branchi R et al

Resource: Nutrients 2016; 8: 84; doi:10.3390/nu8020084
Autore:
Elli, L; et al.;
Anno:
2016 febbraio
Lingue:
English;

Diets that differ in their FODMAP content alter the colonic luminal microenvironment.

Abstract

OBJECTIVE:
A low FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides And Polyols) diet reduces symptoms of IBS, but reduction of potential prebiotic and fermentative effects might adversely affect the colonic microenvironment. The effects of a low FODMAP diet with a typical Australian diet on biomarkers of colonic health were compared in a single-blinded, randomised, cross-over trial.

DESIGN:
Twenty-seven IBS and six healthy subjects were randomly allocated one of two 21-day provided diets, differing only in FODMAP content (mean (95% CI) low 3.05 (1.86 to 4.25) g/day vs Australian 23.7 (16.9 to 30.6) g/day), and then crossed over to the other diet with ≥21-day washout period. Faeces passed over a 5-day run-in on their habitual diet and from day 17 to day 21 of the interventional diets were pooled, and pH, short-chain fatty acid concentrations and bacterial abundance and diversity were assessed.

RESULTS:
Faecal indices were similar in IBS and healthy subjects during habitual diets. The low FODMAP diet was associated with higher faecal pH (7.37 (7.23 to 7.51) vs 7.16 (7.02 to 7.30); p=0.001), similar short-chain fatty acid concentrations, greater microbial diversity and reduced total bacterial abundance (9.63 (9.53 to 9.73) vs 9.83 (9.72 to 9.93) log10 copies/g; p<0.001) compared with the Australian diet. To indicate direction of change, in comparison with the habitual diet the low FODMAP diet reduced total bacterial abundance and the typical Australian diet increased relative abundance for butyrate-producing Clostridium cluster XIVa (median ratio 6.62; p<0.001) and mucus-associated Akkermansia muciniphila (19.3; p<0.001), and reduced Ruminococcus torques.

CONCLUSIONS:
Diets differing in FODMAP content have marked effects on gut microbiota composition. The implications of long-term reduction of intake of FODMAPs require elucidation.

Resource: Gut. 2014 Jul 12. pii: gutjnl-2014-307264. doi: 10.1136/gutjnl-2014-307264. [Epub ahead of print]

Halmos EP, Christophersen CT, Bird AR, Shepherd SJ, Gibson PR, Muir JG.
 
Anno:
2014 luglio
Lingue:
English;

A Diet Low in FODMAPs Reduces Symptoms of Irritable Bowel Syndrome

Abstract

Background & Aims: A diet low in fermentable oligosaccharides, disaccharides, monosaccharides, and polyols (FODMAPs) often is used to manage functional gastrointestinal symptoms in patients with irritable bowel syndrome (IBS), yet there is limited evidence of its efficacy, compared with a normal Western diet. We investigated the effects of a diet low in FODMAPs compared with an Australian diet, in a randomized, controlled, single-blind, cross-over trial of patients with IBS.

Methods: In a study of 30 patients with IBS and 8 healthy individuals (controls, matched for demographics and diet), we collected dietary data from subjects for 1 habitual week. Participants then randomly were assigned to groups that received 21 days of either a diet low in FODMAPs or a typical Australian diet, followed by a washout period of at least 21 days, before crossing over to the alternate diet. Daily symptoms were rated using a 0- to 100-mm visual analogue scale. Almost all food was provided during the interventional diet periods, with a goal of less than 0.5 g intake of FODMAPs per meal for the low-FODMAP diet. All stools were collected from days 17–21 and assessed for frequency, weight, water content, and King's Stool Chart rating.

Results: Subjects with IBS had lower overall gastrointestinal symptom scores (22.8; 95% confidence interval, 16.7–28.8 mm) while on a diet low in FODMAPs, compared with the Australian diet (44.9; 95% confidence interval, 36.6–53.1 mm; P < .001) and the subjects' habitual diet. Bloating, pain, and passage of wind also were reduced while IBS patients were on the low-FODMAP diet. Symptoms were minimal and unaltered by either diet among controls. Patients of all IBS subtypes had greater satisfaction with stool consistency while on the low-FODMAP diet, but diarrhea-predominant IBS was the only subtype with altered fecal frequency and King's Stool Chart scores.

Conclusions: In a controlled, cross-over study of patients with IBS, a diet low in FODMAPs effectively reduced functional gastrointestinal symptoms. This high-quality evidence supports its use as a first-line therapy.

Resource: Gastroenterology Volume 146, Issue 1 , Pages 67-75.e5, January 2014

Emma P. Halmos, Victoria A. Power, Susan J. Shepherd, Peter R. Gibson, Jane G. Muir
 
Anno:
2014 gennaio
Lingue:
English;
www.drschaer-institute.com