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Piattaforma informativa per esperti sulla celiachia e sensibilità al glutine non celiaca.

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Terapia per la sindrome dell’intestino irritabile: approcci e consigli

Le manifestazioni della sindrome dell’intestino irritabile (SII o IBS per Irritable Bowel Syndrome) sono così variabili, che non esiste una terapia standard. Le attuali linee guida descrivono alcuni approcci terapeutici percorribili in via sperimentale sotto la supervisione del medico. Tra le opzioni vi sono l’adozione di una dieta senza glutine e l’eliminazione dei FODMAP.
L’eterogeneità della sindrome dell’intestino irritabile rende impossibile formulare una terapia standard. Ogni terapia ha dunque un carattere inizialmente empirico e sperimentale. Le attuali Linee guida descrivono diversi approcci terapeutici. Per trattare in maniera adeguata i pazienti affetti da IBS, è opportuno operare una distinzione tra i tipi di sindrome dell’intestino irritabile: con stipsi prevalente, con diarrea prevalente e con alvo alterno.
 

Suggerimenti nutrizionali a scopo terapeutico per la sindrome dell’intestino irritabile

Per ciò che concerne la terapia nutrizionale, la ricerca non fornisce alcuna indicazione di carattere generale su nutrizione e stile di vita che sia finalizzata alla prevenzione o alla cura della IBS. Vi sono però numerose raccomandazioni nutrizionali individuali orientate ai sintomi e formulate dal medico curante. Queste raccomandazioni vanno calibrate sull’osservazione dei singoli trigger della sintomatologia (stress, determinati alimenti, carenza di sonno o scarsa attività fisica ecc.) oppure comorbilità preesistenti (depressione). Il paziente potrebbe annotare le proprie abitudini alimentari e l’alvo in un diario dei sintomi e della nutrizione, per identificare gli alimenti che provocano diarrea o stipsi.
 

Accertare eventuali intolleranze alimentari

Nei pazienti che manifestano i sintomi tipici della IBS vanno accertate eventuali intolleranze alimentari. Lo si può fare sottoponendo il paziente a una dieta a eliminazione mirata in via sperimentale, monitorata da controlli periodici, per verificare che non subentri una carenza alimentare.
Le intolleranze alimentari non specifiche sono frequenti nei pazienti affetti da IBS. Evitando di assumere determinati alimenti, i sintomi migliorano sensibilmente o addirittura scompaiono. Al contrario, non è dimostrata la rilevanza clinica dei titoli degli anticorpi IgG nel sangue per verificare eventuali allergie alimentari. Le allergie alimentari vere e proprie sono rare, se si eccettua l’allergia alla carne di pollo. È più probabile che i sintomi non specifici in ambito gastrointestinale siano imputabili alla IBS che non a un’allergia.

Intolleranze alimentari come causa frequente di disturbi gastrointestinali

I carboidrati difficilmente assimilabili, soprattutto il lattosio e il fruttosio, sono spesso causa di intolleranze e disturbi gastrointestinali non specifici. In particolare pazienti affetti da IBS-D soffrono spesso di intolleranze alimentari.

a) Intolleranza al lattosio

b) Malassorbimento di fruttosio

c) Sensibilità al glutine non celiaca (nella maggioranza dei pazienti affetti da IBS i sintomi migliorano adottando una dieta povera di glutine o senza glutine, anche in assenza di celiachia)

d) Intolleranza all’istamina

e) Intolleranza ai salicilati

Riduzione dei FODMAP

I pazienti che soffrono di un accertato malassorbimento dei carboidrati, per esempio del lattosio, fruttosio o sorbitolo, dovrebbero provare a ridurre il consumo di questi zuccheri in via sperimentale. La dieta dovrebbe durare almeno 14 giorni e proseguire solo in presenza di un chiaro alleviamento dei sintomi. Tra gli alimenti che i pazienti identificano spesso come causa di un aggravamento dei sintomi vi sono latticini, prodotti cerealicoli, bibite che contengono caffeina, piatti grassi/grigliati e dolcificanti (sorbitolo, xilitolo, ecc.) Alcuni medici considerano da qualche anno a questa parte la low-FODMAPs Diet come una prima strategia terapeutica nutrizionale. I FODMAP sono carboidrati fermentabili a catena corta molto diffusi, apparentemente responsabili di sintomi gastrointestinali. “FODMAP” è acronimo di oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili. La dieta a basso contenuto di FODMAP-ha dato risultati molto promettenti: tre pazienti su quattro affetti da IBS hanno riscontrato un netto miglioramento dei sintomi. Dati gli ottimi risultati conseguiti, più dell’80 per cento dei soggetti che partecipavano allo studio hanno proseguito la dieta a ridotto contenuto di FODMAP oltre la durata dello studio. [1]

Adozione di una dieta senza glutine

Le Linee guida S3 consigliano una dieta senza glutine (DSG) ai pazienti adulti affetti da IBS, per i quali è stata esclusa una celiachia. Il glutine, elemento costitutivo di molti cereali, in presenza di una celiachia innesca disturbi gastrointestinali non specifici simili a quelli della IBS. È stato dimostrato che in un gran numero di pazienti affetti da IBS, i sintomi miglioravano adottando un’alimentazione povera o del tutto priva di glutine, anche se in precedenza era stata esclusa una celiachia. La DSG è altrettanto adatta anche nel trattamento della non-celiachia-non-allergia al grano-sensibilità al grano, che si manifesta in alcuni pazienti. Il consumo di prodotti senza glutine ha migliorato significativamente i sintomi: dolori, meteorismo, senso di affaticamento e la consistenza delle feci. Va detto inoltre che i pazienti con i marker genetici HLA-DQ2 e HLA-DQ8 e il marker sierologico degli anticorpi di classe IgG rispondono meglio a una DSG. Questi pazienti andrebbero tenuti in osservazione e sottoposti a esami di controllo a cadenza regolare per identificare precocemente una potenziale celiachia. Gli studi al contrario dimostrano che il 40 per cento circa di pazienti affetti da celiachia soffrono di sintomi che ricordano quelli della IBS. Di regola i sintomi migliorano attenendosi a una DSG, anche se vi sono casi in cui i sintomi permangono. [2]
Fonti
  1. HALMOS EP, ET AL. A diet low in FODMAPs reduces symptoms of irritable bowel syndrome. Gastroenterology. 2014 Jan;146(1):67-75.e5. doi: 10.1053/j.gastro.2013.09.046. Epub 2013 Sep 25.
  2. Wahnschaffe et al., 2007

Terapia farmacologica e medicina alternativa

Una terapia farmacologica va calibrata sui sintomi. Il suo successo si misura dal miglioramento dei sintomi e dal grado di tolleranza del paziente. Qualora la terapia non dovesse avere successo, può rendersi necessario introdurre nuovi farmaci. Il trattamento della IBS con terapie alternative può essere sconsigliabile, in mancanza di dati attendibili. In casi isolati possono essere messe in atto terapie complementari ricorrendo ad esempio all’agopuntura. Nei bambini è sconsigliabile ricorrere a terapie complementari o alternative. Il bambino affetto da IBS deve poter contare sempre di sostegno psicosociale. I casi refrattari alla terapia richiedono il tempestivo intervento di un gastroenterologo pediatrico.
Anche negli adulti è importante salvaguardare la salute psichica del paziente. Anche quando non è ipotizzata una coprevalenza con altre gravi patologie del tratto intestinale, possono insorgere altre gravi malattie quali, ad esempio, la depressione. In presenza di una comorbilità psichica (depressione, disturbi dell’ansia) possono essere prescritti antidepressivi.

Approcci terapeutici alternativi nei pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile

Probiotici e prebiotici

Scegliere il ceppo batterico in base alla sintomatologia
Le ripercussioni di una flora intestinale alterata e di una sovracrescita batterica sul quadro clinico fa sì che molti medici prescrivano l’assunzione di preparati probiotici. Diverse meta-analisi hanno mostrato un miglioramento del quadro complessivo, soprattutto in relazione ai dolori addominali. Comunque sia, gli studi differivano a tal punto che non è stato possibile arrivare a una indicazione univoca delle dosi e della forma di integrazione più consigliabile. In conclusione, appare assodata l’utilità dei probiotici nel trattamento della IBS, a patto che la scelta del ceppo sia calibrata sulla sintomatologia. All’infuori di probiotici e prebiotici, non sono consigliati particolari integratori alimentari.
 

Fibre alimentari

Le fibre solubili sono preferibili
In presenza di fenomeni prevalentemente costipativi, l’introduzione delle fibre nella dieta ha valenza terapeutica. Sono da preferirsi fibre solubili come Plantago psyllium e Ispaghula, e la dose consigliata varia tra i 10 e i 20 grammi al giorno. Non mancano gli effetti collaterali come ad esempio la flatulenza. È dunque importante iniziare con un dosaggio basso da aumentare gradualmente con una certa cautela a seconda del grado di tolleranza del paziente. Inoltre è importante stabilire in anticipo il quantitativo di fibre da consumare. Come terapia a se stante, le fibre rivestono un’importanza modesta, mentre la combinazione di fibre e probiotici accuratamente selezionati può rivelarsi vantaggiosa. È fondamentale che l’assunzione di fibre sia accompagnata da un apporto idrico adeguato.
Anche per i pazienti affetti da IBS diarrea prevalente o da IBS non tipizzata con forti dolori, si può valutare l’introduzione delle fibre solubili a scopo terapeutico: queste ultime richiamano più acqua rispetto a quelle non solubili, rendendo le feci più omogenee e formate. Le fibre insolubili, al contrario, possono peggiorare il quadro clinico di questi pazienti. Alcune meta-analisi incentrate sull’impiego di preparati a base di fibre hanno messo in dubbio la qualità degli studi (eterogeneità dei partecipanti, assenza di controlli placebo), ma nel complesso sembra che le fibre solubili siano in grado di migliorare considerevolmente la sintomatologia.
 

Olio di menta

Relax per l’intestino
Diverse Review sistematiche affermano che l’olio di menta influisce positivamente sulla sintomatologia dei pazienti affetti da IBS rilassando la muscolatura liscia del tratto intestinale. Pertanto l’olio di menta può essere impiegato in via sperimentale nei pazienti affetti da IBS che lamentano disturbi di lieve entità.
 

Riduzione dei grassi

Un’alimentazione povera di grassi può alleviare i sintomi
In molti pazienti affetti da IBS, Il cibo ricco di grassi peggiora i disturbi gastrointestinali, anche se la correlazione non è stata ancora dimostrata scientificamente. L’ingestione di lipidi provoca un rallentamento del transito intestinale dei gas che accentua il meteorismo.
 

Antibiotici

Modificare la composizione della flora intestinale mediante l’utilizzo mirato degli antibiotici
Nuove strategie terapeutiche mirano ad alterare, anziché eliminare, la flora intestinale nei pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile al fine di ottenere un miglioramento della sintomatologia. L’attuale stato della ricerca postula tre argomentazioni a favore di un impiego della terapia antibiotica nell’IBS.

a) Gli antibiotici agiscono sulla composizione della flora batterica intestinale e prevengono l’insorgenza di prodotti batterici che potrebbero influenzare negativamente la sintomatologia.

b) Gli antibiotici ridimensionano l’influsso dei batteri sulla mucosa intestinale.

c) Gli antibiotici alterano tanto i batteri quanto la reazione dell’ospite.

L’antibiotico ideale dovrebbe presentare un ampio spettro, espletando una funzione attiva contro i batteri gram positivi e gram negativi, aerobi e anaerobi, favorendo un’ampia biodiversità nel tratto intestinale senza ripercussioni sistemiche, essere sicuro per bambini, adulti e donne gravide, conservando la sua vantaggiosità anche in termini economici.
I ricercatori sono riusciti a dimostrare un significativo miglioramento dei sintomi nei pazienti affetti da IBS in seguito a una riuscita terapia antibiotica. Un successivo H2 breath test ha rivelato un livello ridotto di idrogeno nell’aria espirata. Purtroppo i punti deboli di questi studi (ridotto numero di partecipanti, follow-up troppo breve, risultati discordanti) non hanno permesso di giungere a risposte definitive sugli effetti della terapia antibiotica.

Terapie mirate, orientate ai sintomi

Cura della diarrea negli adulti affetti da sindrome dell’intestino irritabile

Dalle fibre all’impiego mirato di medicinali
Non esiste una differenza nel trattamento dei sintomi più comuni, diarrea e stimolo impellente alla defecazione. Le possibili strategie per il trattamento della diarrea nei pazienti affetti da IBS in età adulta prevedono la somministrazione di fibre, probiotici, loperamide, fitoterapici, colestiramina, spasmolitici (es. Mebeverin) e in casi isolati anche di antagonisti della serotonina 5-HT3 (es. Alosetron). In mancanza di prove, l’impiego di Racecadotril come cura della diarrea nei pazienti che presentano intestino irritabile non è consigliato. Il trattamento della diarrea con antibiotici e aloe vera non va effettuato, né è consigliabile trattare la diarrea o i dolori addominali con la terapia alle erbe della Medicina Tradizionale Cinese (TCM).
 

Terapia del dolore negli adulti affetti da sindrome dell’intestino irritabile

Valore terapeutico dei farmaci anticonvulsivanti
Il trattamento dei dolori con analgesici periferici (ASA, paracetamolo, FANS, Metamizolo), con gli antibiotici, con Pregabalin/Gabapentin o con aloe vera non dovrebbe essere protratto nel tempo. Non è consigliabile ricorrere a oppioidi e agonisti oppioidi come gli enzimi pancreatici. Al contrario trovano indicazione terapeutica fibre, probiotici, antidepressivi triciclici, SSRI e fitoterapici. In casi isolati è possibile somministrare antagonisti 5-HT3 (es Alosetron). Una terapia del dolore con spasmolitici solitamente garantisce buoni risultati.
 

Terapia della stipsi negli adulti affetti da sindrome dell’intestino irritabile

Fibre solubili ad azione lassativa
In presenza di sindrome dell’intestino irritabile stipsi prevalente (IBS-C) si può tentare di somministrare al paziente fibre gelificanti solubili in acqua come ad esempio bucce di semi di Plantago ovata (Psyllium). In via sperimentale possono essere prescritti anche lassativi osmotici come il macrogol o altri lassativi osmotici o stimolanti. La prucalopride è una possibile alternativa nei casi refrattari alla terapia, per via della sua comprovata efficacia nei casi di costipazione cronica. Inoltre possono essere somministrati il Lubiprostone, un attivatore dei canali del cloro e diversi spasmolitici, una volta accertata la risposta positiva del paziente affetto da IBS-C. Nel caso di una IBS-C refrattaria alla terapia, soprattutto in presenza di dolori persistenti e/o comorbilità psichica, possono essere somministrati in via sperimentale probiotici e il preparato a base di erbe STW-5. Miscele di erbe/fitoterapici alternativi non sono efficaci sulla IBS-C, se non in casi sporadici, e pertanto il loro utilizzo è sconsigliato. Gli antibiotici non riassorbibili (rifaximina, neomicina) non dovrebbero essere somministrati a pazienti affetti da IBS-C. Sulla base dei contraddittori risultati della ricerca, il domperidone, antagonista del recettore dopaminergico D2, non trova impiego nella terapia.
 

Cura della flatulenza negli adulti affetti da sindrome dell’intestino irritabile

In primo piano la cura di stipsi e diarrea
Un’efficace terapia farmacologica della stipsi e della diarrea del paziente affetto da IBS può anche migliorare i disturbi dell’ambito sintomatico che raggruppa eruttazione, gonfiore addominale, meteorismo e flatulenza. In un secondo tempo l’introduzione di probiotici può portare a un miglioramento. Si può ricorrere alla somministrazione dell’antibiotico non assorbibile Rifaximina o di fitofarmaci nei casi refrattari a una terapia. Non trovano invece indicazione terapeutica colinergici/parasimpaticomimetici, enzimi pancreatici, analgesici, antidepressivi triciclici e SSRI. Mancano dati in merito all’utilizzo di agenti antischiumogeni (simeticone, dimeticone) per la cura della IBS. Gli effetti positivi su questi sintomi negli studi sulla dispepsia e sull’enterite acuta, suggeriscono che può essere sensato fare un tentativo in questa direzione.
 

Terapia del dolore e della diarrea nei bambini affetti da sindrome dell’intestino irritabile

Olio di menta e probiotici come lenimento
L’olio di menta in capsule viene usato come spasmolitico nei bambini e negli adolescenti. Anche i probiotici possono essere usati in via sperimentale, soprattutto in presenza di una diarrea post-enteritica. È sconsigliato l’uso di amitriptilina nel trattamento di bambini e adolescenti. È preferibile evitare la somministrazione regolare di analgesici e spasmolitici chimicamente definiti in favore di altri procedimenti terapeutici. In casi eccezionali possono essere somministrati per contrastare i dolori in maniera puntuale.
 

Cura della stipsi e del meteorismo nei bambini affetti da sindrome dell’intestino irritabile

Impiego di un lassativo specifico
Il Macrogol potrebbe essere sperimentato per la cura della stipsi nella cornice di una IBS. L’impiego di altri lassativi non è consigliabile.

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Studi 3

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Diagnosi di sensibilità al glutine non celiaca (SGNC) in pazienti con sintomi funzionali gastrointestinali: risultati di uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco contro placebo con provocazione con glutine.

La sensibilità al glutine non celiaca (in breve: sensibilità al glutine o SGNC) è una malattia funzionale gastrointestinale contraddistinta da sintomi gastrointestinali ed extra-intestinali che si manifestano dopo l’assunzione di alimenti contenenti glutine. I test ematici e le analisi istologiche attualmente disponibili non consentono di accertare con assoluta sicurezza una SGNC. Il fondamento primario del metodo diagnostico della SGNC, quando sono escluse celiachia e allergia al grano, è la risposta a un’alimentazione priva di glutine. L’analisi della reazione di pazienti potenzialmente SGNC alla carenza di glutine, tuttavia, può essere alterata, oltre che dall’azione di altre sostanze attive nel frumento, come inibitori della amilasi-triptasi (ATIs) e FODMAPs (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols), anche dall’effetto placebo. Una diagnosi corretta è imprescindibile per evitare inutili restrizioni alla dieta, per offrire opzioni efficaci di trattamento e per ridurre l’esigenza di farmaci che mitigano i sintomi in caso di disturbi funzionali gastrointestinali, inclusa la sindrome dell’intestino irritabile.

L’obiettivo di questo studio clinico era individuare in maniera affidabile pazienti con SGNC all’interno di una coorte di pazienti, che registrava un miglioramento dei sintomi gastrointestinali in assenza di glutine, attraverso uno specifico protocollo diagnostico eseguito in doppio cieco con provocazione con glutine contro placebo con crossover. Lo studio clinico è stato condotto in 15 centri ambulatoriali italiani di gastroenterologia. Sono stati inclusi in questo studio clinico 140 pazienti adulti, che consultano regolarmente ambulatori gastroenterologici e soddisfano i criteri ROMA III per disturbi funzionali di stomaco e intestino. Tutti i pazienti assumevano alimenti contenenti glutine, risultavano negativi ai test degli anticorpi di classe IgA delle immunoglobuline anti Tissue-Transglutaminase (IgA-tTGA) e all’allergia al grano IgE mediata e presentavano un tenore totale di IgA normale. In pazienti con forte sospetto clinico di celiachia è stata eseguita inoltre una biopsia duodenale, al fine di escludere i pazienti con celiachia sieronegativa.

La fase 1 dello studio clinico ha esaminato la reazione dei pazienti all’assenza di glutine. Il primo passo è stata la valutazione dei sintomi della malattia e della qualità della vita in relazione alla salute, mediante Scale Analogiche Visive (VAS), scala da 1 a 10, e il questionario sullo stato di salute Short Form 36 (SF36). Al termine di questa valutazione, è stata introdotta un’alimentazione priva di glutine della durata di 3 settimane. I pazienti hanno ricevuto ampia consulenza e supporto da parte di un esperto dell’alimentazione. Alla fine della fase 1, i pazienti hanno compilato nuovamente le scale VAS e il questionario SF36. I pazienti che hanno indicato un miglioramento significativo dello stato di salute (VAS ≥ 3, n = 101) sono stati considerati “responder al glutine” e sono stati inseriti nella seconda fase dello studio clinico.

Questi pazienti responder sono stati esortati a continuare ad alimentarsi rigorosamente senza glutine nella fase 2 (provocazione con glutine in doppio cieco contro placebo con crossover). 98 pazienti sono stati ammessi a questa fase dello studio clinico (3 pazienti hanno rinunciato a proseguire la partecipazione per paura di recidive sintomatiche se sottoposti a provocazione con glutine). I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi randomizzati e per 7 giorni hanno assunto 5,6 g/giorno di glutine (capsule con glutine trattato, pari a 80 g di pasta secca) o placebo (capsule con amido di riso). Prima del crossover si è svolto un periodo di sospensione (wash-out) di 7 giorni. Di conseguenza, la fase 2 dello studio clinico ha avuto una durata complessiva di 21 giorni (durante questo periodo, i pazienti hanno continuato ad alimentarsi senza glutine). Al termine di ogni fase (provocazione con glutine/placebo, fase di sospensione e crossover), vale a dire ogni 7 giorni, i pazienti hanno compilato nuovamente le scale VAS e il questionario SF36. Nel complesso, i pazienti hanno riferito peggioramenti dello stato di salute più marcati sotto provocazione con glutine che sotto placebo (p = 0,05). 28 dei pazienti randomizzati hanno reagito ‘positivamente’ alla provocazione con glutine in doppio cieco contro placebo con crossover (in altre parole, soffrivano di una recidiva sintomatica sotto assunzione di glutine) e 69 pazienti si sono dimostrati negativi alla provocazione con glutine in doppio cieco contro placebo con crossover (vale a dire, nessuna recidiva sintomatica sotto assunzione di glutine). Non è stata constatata nessuna correlazione tra fattori demografici, clinici o biochimici e la reazione alla provocazione con glutine. Tra i pazienti identificati come ‘positivi’, la sequenza in cui erano state assunte le capsule di glutine e di placebo non sembra avere alcun effetto significativo. Da notare che 14 dei 28 pazienti ‘positivi’ sono stati identificati anche come responder al placebo. Come prevedibile, questo risultato evidenzia un effetto placebo significativo.

Nel complesso, il 14% dei 98 “responder al glutine” randomizzati hanno registrato una recidiva sintomatica durante la provocazione con glutine in cieco, controllata con placebo (senza risposta contemporanea al placebo) e, di conseguenza, è stato possibile identificarli come pazienti con SGNC. Questo risultato conferma che l’assunzione di glutine in un sottogruppo di pazienti con disturbi funzionali dell’intestino può provocare sintomi gastrointestinali. Si tratta del primo studio clinico a indagare e valutare l’efficacia del protocollo diagnostico in due fasi “Diagnosis of NCGS: The Salerno Experts’ Criteria”1 nella prassi clinica. L’elevato numero di pazienti che ha reagito all’assenza di glutine (75%), ma non alla provocazione con glutine dopo l’assenza di glutine, è degna di nota. Presumibilmente, questa discrepanza è riconducibile in parte a un possibile effetto placebo. Molti pazienti, tuttavia, potrebbero reagire anche ad altre sostanze aspecifiche nel frumento, per es. ATIs o FODMAPs.


1 Catassi C, Elli L, Bonaz B et al. Diagnosis of Non-coeliac Gluten Sensitivity (NCGS): The Salerno Experts Criteria. Nutrients 2015; 7: 4966-4977.

Elli L, Tomba C, Branchi R et al

Resource: Nutrients 2016; 8: 84; doi:10.3390/nu8020084
Autore:
Elli, L; et al.;
Anno:
2016 febbraio
Lingue:
English;

Diets that differ in their FODMAP content alter the colonic luminal microenvironment.

Abstract

OBJECTIVE:
A low FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides And Polyols) diet reduces symptoms of IBS, but reduction of potential prebiotic and fermentative effects might adversely affect the colonic microenvironment. The effects of a low FODMAP diet with a typical Australian diet on biomarkers of colonic health were compared in a single-blinded, randomised, cross-over trial.

DESIGN:
Twenty-seven IBS and six healthy subjects were randomly allocated one of two 21-day provided diets, differing only in FODMAP content (mean (95% CI) low 3.05 (1.86 to 4.25) g/day vs Australian 23.7 (16.9 to 30.6) g/day), and then crossed over to the other diet with ≥21-day washout period. Faeces passed over a 5-day run-in on their habitual diet and from day 17 to day 21 of the interventional diets were pooled, and pH, short-chain fatty acid concentrations and bacterial abundance and diversity were assessed.

RESULTS:
Faecal indices were similar in IBS and healthy subjects during habitual diets. The low FODMAP diet was associated with higher faecal pH (7.37 (7.23 to 7.51) vs 7.16 (7.02 to 7.30); p=0.001), similar short-chain fatty acid concentrations, greater microbial diversity and reduced total bacterial abundance (9.63 (9.53 to 9.73) vs 9.83 (9.72 to 9.93) log10 copies/g; p<0.001) compared with the Australian diet. To indicate direction of change, in comparison with the habitual diet the low FODMAP diet reduced total bacterial abundance and the typical Australian diet increased relative abundance for butyrate-producing Clostridium cluster XIVa (median ratio 6.62; p<0.001) and mucus-associated Akkermansia muciniphila (19.3; p<0.001), and reduced Ruminococcus torques.

CONCLUSIONS:
Diets differing in FODMAP content have marked effects on gut microbiota composition. The implications of long-term reduction of intake of FODMAPs require elucidation.

Resource: Gut. 2014 Jul 12. pii: gutjnl-2014-307264. doi: 10.1136/gutjnl-2014-307264. [Epub ahead of print]

Halmos EP, Christophersen CT, Bird AR, Shepherd SJ, Gibson PR, Muir JG.
 
Anno:
2014 luglio
Lingue:
English;

A Diet Low in FODMAPs Reduces Symptoms of Irritable Bowel Syndrome

Abstract

Background & Aims: A diet low in fermentable oligosaccharides, disaccharides, monosaccharides, and polyols (FODMAPs) often is used to manage functional gastrointestinal symptoms in patients with irritable bowel syndrome (IBS), yet there is limited evidence of its efficacy, compared with a normal Western diet. We investigated the effects of a diet low in FODMAPs compared with an Australian diet, in a randomized, controlled, single-blind, cross-over trial of patients with IBS.

Methods: In a study of 30 patients with IBS and 8 healthy individuals (controls, matched for demographics and diet), we collected dietary data from subjects for 1 habitual week. Participants then randomly were assigned to groups that received 21 days of either a diet low in FODMAPs or a typical Australian diet, followed by a washout period of at least 21 days, before crossing over to the alternate diet. Daily symptoms were rated using a 0- to 100-mm visual analogue scale. Almost all food was provided during the interventional diet periods, with a goal of less than 0.5 g intake of FODMAPs per meal for the low-FODMAP diet. All stools were collected from days 17–21 and assessed for frequency, weight, water content, and King's Stool Chart rating.

Results: Subjects with IBS had lower overall gastrointestinal symptom scores (22.8; 95% confidence interval, 16.7–28.8 mm) while on a diet low in FODMAPs, compared with the Australian diet (44.9; 95% confidence interval, 36.6–53.1 mm; P < .001) and the subjects' habitual diet. Bloating, pain, and passage of wind also were reduced while IBS patients were on the low-FODMAP diet. Symptoms were minimal and unaltered by either diet among controls. Patients of all IBS subtypes had greater satisfaction with stool consistency while on the low-FODMAP diet, but diarrhea-predominant IBS was the only subtype with altered fecal frequency and King's Stool Chart scores.

Conclusions: In a controlled, cross-over study of patients with IBS, a diet low in FODMAPs effectively reduced functional gastrointestinal symptoms. This high-quality evidence supports its use as a first-line therapy.

Resource: Gastroenterology Volume 146, Issue 1 , Pages 67-75.e5, January 2014

Emma P. Halmos, Victoria A. Power, Susan J. Shepherd, Peter R. Gibson, Jane G. Muir
 
Anno:
2014 gennaio
Lingue:
English;
www.drschaer-institute.com